Commento al Vangelo di don Battista Borsato

IV° DOMENICA di QUARESIMA

La libertà

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro”. Ed egli disse loro questa parabola: “Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Questo gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

(Lc 15,1-3;11-32)

Sicuramente questa parabola è la più conosciuta e la più commentata di tutto il Vangelo. Il grande e profetico don Primo Mazzolari vi leggeva il perché del distacco della cultura e di molti uomini e donne dalla chiesa e dalla fede. Questo famoso parroco pur scrivendo negli anni ’30 e ’40 quando le chiese erano ancora gonfie di presenze, avvertiva con il suo fiuto di credente e di pastore il distanziarsi della cultura e di molte persone dalla chiesa. Questa emorragia era dovuta secondo lui ad una chiesa che predicava il Dio della legge, della punizione, della paura mentre c’era negli uomini e donne voglia di libertà, il desiderio di respirare aria fresca nella ricerca della propria umanità. La predicazione si fondava quasi esclusivamente sul peccato, sul castigo e condannava ogni forma di piacere, perché tutto era proibito. Predicava una religione della mortificazione, del sacrificio, non quella della gioia del vivere e della festa dell’amore.

Su questo sfondo vorrei soffermarmi su tre aspetti o espressioni della parabola.

  • Il figlio più giovane raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano”.

La prima domanda che mi viene: “Perché il figlio se ne va?” Se se ne va è perché stava male a casa e si sentiva stretto e voleva andare in un altro luogo dove poter fare un’esperienza di libertà. E allora vuol dire che la sua casa non era una casa di libertà, il figlio non vi poteva esprimere liberamente le sue idee e inseguire i suoi progetti. Si sentiva soffocato o comunque condizionato. Era obbligato a ubbidire all’autorità e doveva seguire forzatamente le tradizioni e le consuetudini del posto. Non si sentiva persona autonoma con la libertà di inventare il suo futuro.

Certamente se una persona si sente repressa, non può essere felice. E allora se ne va non solo in cerca di libertà, ma anche di felicità.

Viene da domandarsi: “E’ male che un giovane in questa soffocante situazione lasci la sua casa e abbia il coraggio di intraprendere coraggiosamente un viaggio alla ricerca di se stesso, della sua libertà e felicità? È preferibile un giovane che rimanga in casa per non far soffrire il padre oppure un giovane che, pur accettando di far soffrire, va alla ricerca di se stesso, della sua identità e indipendenza?”.

La nostra cultura del passato (del presente?) propendeva in maniera decisa per il primo comportamento. Gesù, invece in questa parabola, sembra prediligere il secondo: il coraggio di uscire alla ricerca di se stessi.

Ricordo che negli anni ’60 molti giovani lasciavano la famiglia in cerca di nuove esperienze, non tutte sono finite bene, ma molte hanno forgiato dei giovani liberi e responsabili. Essi avevano saputo lasciare un ambiente conformista per vivere con la propria creatività. Pure molti giovani hanno lasciato o lasciano la chiesa, come è avvenuto con Umberto Eco, per poter vivere con un pensiero proprio e con un’etica responsabile. E allora noi come chiesa non dovremmo interrogarci se queste fughe o distacchi non siano causati anche dal nostro modo di essere e di far chiesa? Forse più che accusare dovremmo accusarci.

  • Il Padre divise tra loro le sue sostanze”.

Il padre non era obbligato a dividere i suoi beni finché era vivo, anzi era sconsigliato a farlo: “Finché vivi e c’è respiro in te, non abbandonarti in potere di nessuno” (Sir 3,21-22). Il padre perché lo fa, perché divide le sue sostanze? Perché vuole che i suoi figli siano liberi e non schiavi, che stiano in casa solo se si sentono a loro agio, cioè liberi altrimenti meglio che scelgano di andarsene, pur vivendo la straziante sofferenza di padre che vede il figlio allontanarsi. Questo padre rappresenta Dio: Dio è un Padre che ama e vuole uomini liberi e felici. Egli desidera che essi stiano con lui per amore e non per dovere o per legge. “Dio è il Dio della libertà. Egli che possiede tutti i poteri per costringermi non mi costringe. Egli mi ha fatto partecipe della sua libertà. Io lo tradisco se mi lascio costringere” (M. Buber).

Dovremmo anche noi riscoprire che il nostro Dio non ci costringe a credere attraverso la paura o la punizione, anzi quasi si ritira e si nasconde, perché vuole figli e non servi e figli felici. La fede è una relazione di amore con Dio liberante, che dona e vuole libertà.

  • Il figlio maggiore si indignò e non voleva entrare”.

Perché non voleva entrare alla festa che il Padre aveva organizzato per il ritorno del figlio minore? Non voleva riconoscere questo “figlio” suo “fratello”. Non lo considerava più suo fratello perché aveva dissipato tutte le sue sostanze e si era contaminato andando in un paese pagano. Non era più suo fratello. Non lo voleva più riconoscere. Aveva sbagliato e il suo sbaglio era per sempre: non c’era più possibilità del perdono o remissione. Il padre, invece, accoglie il figlio anche se era tornato per il “pane” e non per il “padre”, lo accoglie e lo ama così com’è anche nel suo peccato. Il figlio maggiore no. È inflessibile. Gesù con questa parabola, accanto a tanti altri significati, vuole dirci che a volte l’uomo deve perdersi per ritrovarsi e che gli sbagli, e anche i peccati, possono renderci più umani e condurci a ritrovare un Dio umano.

Due piccoli impegni:

– Riconoscere che Dio ama la libertà.

– A volte bisogna perdere Dio per ritrovarlo.