Commento al Vangelo di don Battista Borsato

III° DOMENICA di QUARESIMA

Amare i tempi lunghi

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro ;”Credete che quei  Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertirete, perirete tutti allo stesso modo”. Diceva anche  questa parabola: “Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora un anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”.

(Lc 13,1-9)

È una pagina del Vangelo, in cui non è facile cogliere i messaggi, anche se si intravvede una propositiva connessione. Due sono le domande che mi sembrano sorgere in noi nel confronto con questa Parola e su cui vorrei sostare con voi. La prima domanda riguarda la sofferenza: “Perché nel mondo o nella nostra vita c’è il dolore? Perché avvengono fatti ed eventi che portano la morte e feriscono il nostro cuore? Perché Dio ci tratta così? Che cosa abbiamo fatto di male? Dov’era Dio quando uomini si rovesciavano verso altri uomini per incatenare, seviziare, uccidere?”. È una prima serie di domande che molti o tutti abbiamo e che sono presenti in tutta la Bibbia e scuotevano pure la fede dei credenti e dei profeti. In Gesù stesso sono affiorate prepotentemente nel grido: “Padre perché mi hai abbandonato”

E c’è una seconda serie di domande più personali che toccano il nostro agire: “Che cosa fare quando i risultati non vengono? Come comportarci quando ci si batte per la giustizia e gli sforzi sembrano inutili perché nulla sembra modificarsi? Perché impegnarci affinché le famiglie vivano unite nell’amore e nella fedeltà, quando gli impegni e le energie sembrano non portare rimedi né offrire aiuti?” C’è spesso la sensazione di non ottenere risultati, anzi di lavorare inutilmente perché la situazione sembra degenerare anziché evolversi positivamente.

In maniera discreta, e sempre interrogante, vorrei esprimere alcuni miei pensieri.

  • Il primo: Di fronte ai fatti di morte ed eventi drammatici come il caso dei “galilei uccisi e le diciotto persone travolte dal crollo della torre di Sìloe” (Lc 13,1) non dobbiamo pensare che sia Dio a dare la morte. Non è Dio a mandare il terremoto o l’alluvione. Dio non produce morte. Dio è solo amore e ama la vita, le persone. Dio non castiga nessuno. Lo dice chiaramente Gesù: “Dio fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e manda la sua pioggia sui giusti e sugli ingiusti“ (Mt 5,45). Questi eventi tristi non vanno riferiti a Dio, però sono eventi che ci devono interrogare e spingere a cambiare la nostra vita, il nostro modo di pensare.

Due torri gemelle sono crollate, un 11 settembre di anni fa, ma vi abbiamo letto solo un fatto di cronaca, un evento epocale, ma non un richiamo alla conversione. Se l’uomo non cambia, se non imbocca altre strade, se non si converte in costruttore di pace e di giustizia, questa terra, la nostra casa comune andrà in rovina perché fondata sulla sabbia della violenza e dell’ingiustizia. Gesù l’ha messo come vertice del suo Vangelo, che riassume tutto: Amatevi, altrimenti vi distruggerete tutti. Il Vangelo è tutto qui. Amatevi, altrimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili.

Dopo il terrificante evento delle torri è stato pubblicato un libro più o meno con questo titolo: “Perché ci odiano così tanto?”. È una domanda doverosa. Forse, o senza forse, dovremmo anche noi interrogarci se i nostri comportamenti, o nostri pregiudizi non abbiano contribuito a generare questi fatti di distruzione e di morte.

  • Il secondo riguarda la pazienza. Questa è evocata nel contadino che dice al padrone  del fico che non dava frutti: “Lascialo ancora finché gli avrò zappato attorno  e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire, se no lo taglierai”. Vengono esaltati il valore e la virtù della pazienza. La pazienza può avere due significati. Può delineare la persona che  dentro i fallimenti, le sconfitte, le sofferenze non crolla. Tratteggia la persona che non si lascia frantumare dai momenti difficili o dalle opposizioni che incontra. I profeti sono stati, o sono, persone che non si sono inchinate agli appelli del potere e sono vissute, o vivono, con la schiena diritta. Ma la pazienza può avere un senso ancora più profondo, più creativo: le cose non cambiano in maniera improvvisa o in tempi brevi. Bisogna avere uno sguardo lungo e guardare lontano. Le riforme in campo ecclesiale e in campo sociale non avvengono in maniera frettolosa, esigono tempi lunghi. Oggi domina la cultura dell’immediato del “tutto e subito”. Se uno vuole imparare una lingua o imparare una professione deve darsi dei tempi lunghi. Ricordo che negli anni ’70 dopo il Concilio Vat. II° c’era un fervore ecclesiale e politico per trasformare la chiesa e la vita sociale. Molti non vedendo consistenti risultati lasciarono gli impegni e si ritirarono nel privato. Non c’era la cultura dei tempi lunghi.

L’amore stesso cresce lentamente. “L’amore non è una cosa da fare in fretta” (Noelle). Per quanto riguarda l’amore c’è un comune e diffuso fraintendimento. Si confonde l’amore con il sentimento. Il sentimento, come l’emozione, è una realtà buona, positiva, ma non è ancora l’amore. Il sentimento è legato alle sensazioni che vanno e vengono e quindi è volubile. fragile; l’amore è voler intrecciare con la persona, con l’altro, un legame stabile fatto di ascolto, di confronto, di rispetto della sua libertà, di fedeltà per crescere insieme. L’amore è una costruzione, è un continuo esodo dall’io all’altro. È sempre in agguato l’amore narcisistico che è quell’amore che gratifica l’io e non guarda l’altro. L’amore per crescere esige cura, togliere le erbacce che lo possono soffocare, zappare intorno, innaffiare continuamente. Amare è un ‘arte che si deve imparare.

Due piccoli impegni:

            – Lasciarsi interrogare dagli avvenimenti.

            – Lavorare per il futuro.