Commento al Vangelo di don Battista Borsato

Commento al Vangelo di don Battista Borsato

XXIII DOMENICA del T.O.-.06 settembre 2020

Saper scuotere!

Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.

In verità vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro.

(Mt. 18, 15-20)

Si parla di correzione. Non sono lontani gli anni in cui il tema della correzione fraterna era molto presente negli operatori di pastorale. Ne veniva raccomandata la pratica tra i preti, tra i familiari, tra gli appartenenti ad una comunità. Oggi quest’attenzione si è molto indebolita, se non spenta. Il motivo è, a mio parere, che una vera correzione è molto difficile: sono necessarie grande sensibilità ed esperienza perché essa non si trasformi in un atto di accusa, in giudizi sulle persone e sulle loro scelte che non avrebbero niente di fraterno.

Oggi, poi, respiriamo una cultura molto diversa perfino da quella di appena trent’anni fa: la tolleranza ha preso il posto della ricerca di uniformità nel pensiero e nella mente, che induceva e induce facilmente a misurare i comportamenti della gente. Oggi s’impone il pluralismo, culturale ed etico. Chi può con autorità dire che l’idea altrui è sbagliata o che il suo comportamento è scorretto? Tutti rivendichiamo una nostra libertà di movimento e di scelte. Il correggere e la correzione, in questa prospettiva, sono considerati un atto d’offesa. Ecco perché non si parla più, o si parla fiaccamente, di correzione fraterna.

Bisogna, allora, lasciar cadere l’invito ad andare dal fratello per metterlo in guardia, propostoci dal Vangelo? È datato storicamente e, quindi, da dimenticare?

Esso rimane valido, e addirittura eminentemente costruttivo, a patto di seguire le condizioni che il Vangelo pone alla sua applicazione.

  • Se il tuo fratello commetterà una colpa, va’ e ammoniscilo…”.

La prima condizione è che ci sia prima la fraternità e l’amicizia, se manca questo presupposto, ogni ammonimento ha il sapore di un’intromissione indebita, di un giudizio non richiesto e non gradito. Comunque, qualsiasi correzione che non nasca da un clima di amicizia è destinata a fallire, ed anzi ad acuire il distacco: solo in ambienti animati da forti relazioni può praticarsi una costruttiva correzione. Matteo, infatti, espone questo invito a una comunità, la sua, nella quale la fraternità deve essere segno che la sostanzia e la distingue. Il correggersi reciprocamente veniva insistentemente sollecitato anche da Dietrich Bonhoeffer: egli desiderava che agli allievi del seminario di cui era direttore si offrissero occasioni nelle quali svelare i difetti gli uni degli altri. Se questo metodo si basa davvero sulla voglia di crescere porta effetti benefici.

La vita di coppia e di famiglia potrebbe essere il luogo più adatto per ospitare questo dialogo critico. L’esprimere la propria opinione sul familiare, e i suoi comportamenti, non dovrebbe condurre ad una lacerazione dei rapporti: deve, al contrario, inverarli ancora di più. Quasi più che correggersi, è un dirsi le proprie idee per crescere insieme. Ed in ogni modo la franchezza non può mai essere disgiunta da momenti di rassicurazione, in cui si riconferma stima e affetto reciproci.

  • Ammoniscilo fra te e lui solo…”.

Una seconda condizione previa è la discrezione: la correzione fraterna deve essere condotta a

tu per tu, e solo dopo vi si possono coinvolgere uno o due amici. Ci deve essere rispetto per l’altro: anche se questi ha sbagliato, non devono essere lesi la sua dignità e l’onore. Gesù è attentissimo a rispettare il decoro della persona. Parlare male degli altri è atteggiamento lontanissimo dalla mentalità del Vangelo, riprovato aspramente dal Cristo: “Chi dice al fratello stupido, sarà sottoposto al sinedrio”. (Mt. 5;22). Senza discrezione, la correzione diventa offensiva e improduttiva.

  • Se non ascolterà costoro, ditelo alla comunità e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano”.

È un atto di scomunica. Sembra una contraddizione, dove va a finire l’amore se viene escluso chi sbaglia? È una posizione che gli esegeti stentano a trovare interpretazioni plausibili. Ma forse Matteo, trovandosi in una comunità floscia e disimpegnata vuole dare uno scossone ai membri intorpiditi della comunità. Egli vuol dire che chi appartiene alla comunità cristiana deve abbracciare un progetto di vita esigente.

Però Matteo dichiarando che uno non fa più parte della comunità e quindi va considerato come un pagano e un pubblicano, non afferma che per questo egli non vada più amato: Gesù aveva una predilezione per i pagani e i pubblicani e così deve atteggiarsi anche la comunità cristiana. Essa non deve togliere l’amore al pagano e al pubblicano. Però chi vuol essere discepolo di Gesù deve fare una scelta impegnativa e seria.

Anche molte nostre comunità parrocchiali somigliano a quella di Matteo: molti frequentano l’Eucarestia domenicale, ma mancano di ascolto della Parola e soprattutto non vivono l’attenzione ai bisogni dei poveri e sono assenti nell’impegno per la giustizia. Molti, troppi chiedono il Battesimo per il figlio, anche se hanno spinto la fede ai margini della propria vita.

Come porsi al cospetto di tale fiacchezza spirituale, di tale carenza di scelte evangeliche? Qualche scossone, energico e chiarificatore non farebbe male.

Due piccoli impegni.

  • Correggere o correggersi reciprocamente è dire ciò che si pensa per crescere insieme.
  • La comunità può o deve dare un richiamo forte a chi fa parte della comunità e non vive la scelta evangelica, ma non può mai smettere di amarlo comunque.