Commento al Vangelo di don Battista Borsato – III° DOMENICA di AVVENTO

Commento al Vangelo di don Battista Borsato – III° DOMENICA di AVVENTO

III° DOMENICA di AVVENTO 

Per una giustizia sociale

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni dicendo: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva loro: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”.

Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”.

Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”.

Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

(Lc 3,10-18)

In questa terza domenica di Avvento domina la figura del Battista. Non sappiamo quasi niente del suo percorso spirituale e delle sue scelte di vita. Dal Vangelo così detto dell’infanzia, Giovanni Battista è il figlio prodigiosamente concepito da Zaccaria ed Elisabetta che erano della classe sacerdotale. Dopo otto giorni dalla nascita è stato circonciso come tutti gli ebrei e gli è stato posto il nome Giovanni, che vuol dire “Dio è grazia o Dio ha esaudito.” Poi si annota che “il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della manifestazione a Israele” (Lc 1,80). Da studi storici sappiamo che nel deserto esistevano gruppi di uomini che vivevano in comunità. Erano dei monaci con i tre voti o tre impegni: povertà, celibato (non si sposavano), comunità (vivevano in comunità nell’ascolto e lettura della Parola di Dio). Non c’è certezza storica se Giovanni si sia aggregato a questi gruppi di monaci chiamati Esseni, oggi conosciuti come monaci di Qumran, ma la probabilità è abbastanza  ammissibile, anche se Giovanni ad un certo punto ha  fatto delle  scelte  che si distanziavano da quelle comunità, che pur avevano un afflato messianico sancito dal rito del battesimo. Comunque Giovanni dopo il lungo silenzio e la lunga permanenza nel deserto, carico di spiritualità, appare nei dintorni del fiume Giordano a battezzare e ad annunziare la conversione per l’avvento imminente del Messia. Lo annunzia, ma in parte lo vive con le sue scelte di vita.

In questa pagina del Vangelo il Battista presenta tre tratti  o tre caratteristiche del Messia:

  • La prima caratteristica è la giustizia sociale. Giovanni Battista interpretando il futuro Messia richiama le persone a vivere la giustizia. E questa “giustizia” è chiaramente acclamata quando il Battista dice: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare faccia altrettanto”. Noi di solito declassiamo questo invito al semplice elargire, facendone una questione di carità. Quasi abbiamo avuto paura, o abbiamo paura di usare la parola “giustizia”, perché sembra carica di risonanze ideologiche e politiche: ma la giustizia è un’esigenza biblica. “Giustizia” è un termine biblico che i Padri della Chiesa hanno per primi nobilitato. San Basilio diceva: “ Il pane  che è in più nel tuo armadio non è tuo ma dell’affamato, le scarpe in più non sono tue ma dello scalzo, il vestito che conservi nella cassa non è più tuo ma dell’ignudo”.

Da dove nasce questo appello? Dal fatto che Dio ha creato i beni materiali perché siano di tutti e non solo di alcuni. Se alcuni se ne appropriano commettono un furto, un’ingiustizia, e quando decidono di donarli non compiono un gesto di bontà ma di giustizia, restituendo i beni ai loro autentici proprietari.

Giovanni dunque intravede nel Messia colui che viene a riportare la creazione ai suoi principi originari, a creare fra gli uomini una famiglia nella quale vivano rapporti di libertà e di equità.

Anche l’ingiunzione rivolta ai pubblicani (erano esattori delle tasse) di non esigere più di quanto è fissato è nell’orizzonte della giustizia. Esorta a evitare ogni forma di “tangente” per arricchirsi. Il rischio delle tangenti non è tanto legato ad un sistema politico, ma è legato al cuore, al senso di onestà della persona. Così pure l’ammonimento rivolto ai soldati, di non usare la propria autorità per maltrattare o estorcere dei favori o del denaro, contiene un perentorio senso di giustizia.

  • La seconda caratteristica del Messia è la severità. Egli sarà esigente. In questi anni la pastorale ha operato una opportuna “attenuazione” della severità di Dio: si è puntato più sulla sua paternità che sulla sua severità, anche se di per sé fra i due termini non dovrebbe esserci contrasto. Un padre buono che non senta il dovere di stimolare, di esigere, non sarebbe tale. Il figlio ha bisogno dell’amore e dell’attenzione, ma anche di qualche spinta e di qualche scrollata.

Però è vero che nel passato si è così insistito sul Dio severo, da nasconderne i connotati di bontà, di misericordia e di paternità. Oggi forse si corre il rischio opposto: pensare e annunciare un Dio a cui tutto vada bene. Dio, invece, stando alla voce dei profeti e di Gesù, è uno che innalza gli umili, ma abbassa i potenti, dà da mangiare ai poveri ma manda i ricchi a mani vuote. È un Dio che si schiera e si compromette, che prende le difese degli oppressi e si oppone agli oppressori.

Dio ha in mano il ventilabro per pulire la sua aia, cioè il mondo. Tuttavia Egli compie questa azione stimolatrice e purificatrice (e qui forse anche Giovanni Battista non ha visto chiaro: nessun profeta vede tutto) non con la forza o la violenza, ma inserendosi come compagno di viaggio nel cammino dell’uomo. Gesù è uno che mangia a tavola con i peccatori, non per condividere i loro peccati ma per aiutarli a superarli. Questa particolarità della presenza del Messia era ancora nascosta a Giovanni Battista. Anch’egli ha dovuto convertirsi e aprirsi ad una nuova visione della fede: Dio non condanna, ma cammina a fianco degli uomini, dei peccatori in modo particolare.

  • La terza caratteristica è l’alterità. Giovanni non conosce l’identità del Messia, né come opererà. Si ferma a dire che “viene colui che è più forte di me” (Lc. 3, 16). Anche egli dovrà fare un cammino per scoprirne il pensiero e le scelte. Il profeta annunzia sempre una realtà più grande di lui. Non deve pretendere di conoscere, ma deve saper camminare. Così la Chiesa non può avere la pretesa di conoscere pienamente Gesù e la sua Parola, ma sentirsi sempre discepola che cammina alla sua ricerca. Il profeta è insieme coraggioso e umile: coraggioso nel proporre e umile per cercare incessantemente i nuovi segni della presenza di Dio, chiamati oggi “segni dei tempi”.

Due piccoli impegni:

            – Non vivere i beni come propri.

            – Dubitare di conoscere Gesù.