Commento al Vangelo di don Battista Borsato

L’uomo non può vivere senza fede!

In quel tempo quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: “Rabbì, quando sei venuto qua?”.

Gesù rispose loro: “In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo”.

Gli dissero allora: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gesù rispose loro: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”.

Allora gli dissero: “Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opere fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo”.

Rispose loro Gesù: “In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. Allora gli dissero: “Signore, dacci sempre questo pane”. Gesù rispose loro: “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”.

(Gv. 6, 24-35)

Domenica scorsa ci siamo incontrati con il sorprendente episodio detto della “moltiplicazione dei pani”. In realtà, stando al contesto, Gesù non moltiplica i pani, ma li distribuisce. La folla, cinquemila uomini senza contare le donne e i bambini, è attratta da Gesù e lo segue fino alla sera quasi dimenticandosi anche del mangiare. A un certo punto è Gesù che si ferma perché la gente possa rifocillarsi. Come provvedere il pane? La svolta avviene da un ragazzo che ha cinque pani e due pesci e li offre a Gesù per la gente che ha fame. Questo gesto di imprevista solidarietà cambia il cuore delle persone. Ognuna aveva una borsa con qualche riserva di cibo. Schiudendosi il cuore si schiudono anche le borse e tutto viene condiviso. Si saziarono tutti e ne avanzò anche. Forse il miracolo di Gesù non sta nell’aver moltiplicato il pane, ma nel aver schiuso il cuore dei presenti e di conseguenza le loro borse.

L’episodio del Vangelo di oggi desta alcune domande sottese in due espressioni.

  • “La folla vide che Gesù non era più là….salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù”.

La domanda che mi pongo, e ci si dovrebbe porre, è perché la gente, la folla cerca Gesù? E da questa domanda ne sorge un’altra riguardante il nostro tempo: “Perché molti giovani e molte persone anche in questi mesi estivi vanno a campi scuola per riflettere, pregare?”. Addirittura non pochi scelgono di recarsi presso monasteri come Camaldoli, Bose, Spello per fare esperienza di preghiera e soprattutto per approfondire la loro fede. Perché? È giusto domandarsi! È vero che siamo immersi in un contesto di indifferenza religiosa e di abbandono della pratica liturgica, ma è pur vero che non riusciamo a stupirci di fronte all’impegno esaltante di giovani e di persone che frequentano corsi biblici, scuole di teologia, che fanno esperienze di fede in luoghi appartati, spendendo così parte delle loro ferie.

Perché molta gente è, anche oggi, attratta dal credere e dall’approfondire la propria fede? Credere è importante per l’uomo? L’uomo non può vivere anche senza fede? Si dice che “credere” è una parola laica non religiosa, nel senso che credere appartiene all’uomo in se stesso.

L’uomo, si dice, non può vivere senza una fede, nel senso che deve fidarsi. Nel prendere il caffè al mattino, per esempio, egli compie molti atti di fede: crede alla moglie o al marito, che non l’abbia avvelenato; crede al produttore, che non l’abbia contaminato; crede al commerciante, che non l’abbia sofisticato o adulterato. Nessuno può vivere senza fede: si tratta di un esistenziale del nostro essere, cioè di una dimensione che ci è costitutiva e senza la quale sarebbe difficile comprendere la vita personale e sociale. Quindi l’uomo è in sé un credente. L’elemento differenziante è ciò ca cui si crede o colui a cui si crede.

Secondo Enzo Bianchi l’antinomia non è tra fede e ateismo, ma tra fede e idolatria. Secondo lui nessuno è ateo perché in qualcosa deve credere per vivere. Ciascuno ha un suo idolo a cui prostrarsi.

Si deve ammettere che l’anelito di fondo di ogni persona è di conseguire la propria realizzazione e la propria felicità. Il problema sta nell’individuare la strada giusta. Seguire il proprio impulso individuale, il proprio naturale “istinto”, il proprio “io” o seguire la via del confronto, dell’ascolto degli altri nei quali traluce la voce o il pensiero di Dio? Qui sta il vero bivio, qui si pone la reale alternativa.

Sono in gioco due obbedienze: a Dio o al proprio io. Questa seconda obbedienza può ramificarsi in altre sotto obbedienze come quella del denaro, quella del piacere, del prestigio, del potere, del sesso.

“Perché credere a Dio?” potremmo ridomandarci. La risposta è: per sviluppare e accendere in pienezza le possibilità dell’uomo. La trascendenza, per usare termini filosofici, non è contro l’immanenza, ma è perché questa possa espandersi in pienezza. La chiusura è asfissia, l’apertura è vitalità. Dio, la sua proposta, è l’apertura dell’uomo.

  • “In verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”.

Da qualche anno si sta riflettendo e discutendo sui miracoli di Gesù riportati nei Vangeli. Attorno a questi miracoli ci sono alcune puntualizzazioni da fare. Anzitutto l’evangelista Giovanni non li chiama miracoli, ma segni. Gesù non compie il miracolo per dare prova della sua potenza, li compie per liberare la persona da impedimenti frustranti e perché orientino l’impegno della chiesa. Il Card. Martini scrive che i miracoli sono il sogno di una umanità nuova che siamo chiamati a costruire: una umanità senza sofferenza, senza fame, senza disparità, senza morte. I miracoli rappresenterebbero il sogno di un altro mondo che deve fiorire già qui in questa vita.

La seconda puntualizzazione: il vero miracolo di Gesù è la sua compassione, la sua attenzione amorosa per le persone in difficoltà o ammalate che la religione emarginava come i lebbrosi e gli storpi.

La terza puntualizzazione è che gli evangelisti riportano i miracoli non con l’intento della fedeltà storica ma per comunicare dei messaggi. I miracoli sono degli eventi accaduti nella vita di Gesù, ma non volevano esprimere la potenza o la forza, bensì indicare la strada su cui camminare. Essi più che gesti miracolistici, sono appelli verso dove andare, finestre aperte verso il futuro. I miracoli avvengono anche ora, eccome! Quando il vescovo Tonino Bello ha aperto l’episcopio per ospitare gli immigrati è stato un miracolo! Quando vediamo dei gruppi di giovani e adulti che si prendono cura di chi è vittima della guerra o della fame, è un miracolo. Quando scopriamo un Papa che rinuncia a vivere nel sontuoso palazzo del vaticano, è un miracolo! È una cosa meravigliosa. Queste scelte esprimono l’efflorescenza del divino. Sono il segno di Gesù che si è preso cura degli esclusi, dei ciechi, delle prostitute. Sono la schiusura di un mondo nuovo!

Due piccoli impegni

  • Credere a Dio è la strada per crescere in umanità.
  • I miracoli più che gesti prodigiosi, sono appelli a come vivere.