Commento al Vangelo di don Battista Borsato – Pentecoste

Commento al Vangelo di don Battista Borsato – Pentecoste

Domenica  di  Pentecoste

La verità è avanti!

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

(Gv. 15, 26-27; 16, 12-15)

Pentecoste è la terza festa più importante nella liturgia cristiana. La prima è il Natale in cui ricordiamo Dio che si fa uomo, la seconda è Pasqua che celebra il Cristo risorto che vince la morte e ogni forma di oppressione e poi la Pentecoste, nella quale rievochiamo l’avvento dello Spirito che inonda la Chiesa e la invia nel mondo per la costruzione del Regno. La Pentecoste è la terza in ordine cronologico, ma potrebbe, anzi dovrebbe, essere alla pari con le altre due, se non addirittura la prima perché nella Pentecoste l’incarnazione e la resurrezione si espandono in tutto il mondo sotto l’impulso dallo  Spirito.

Il nome Pentecoste proviene dal greco e significa cinquanta giorni dopo la Pasqua. È una festa presente anche nella religione ebraica che ricorda l’Alleanza di Dio sul monte Sinai con la consegna delle tavole della legge, un’alleanza fondata sulla legge, sul dovere, mentre nella nostra religione cristiana, si ricorda Dio che offre il suo Spirito per muovere le intelligenze e il cuore degli uomini. È la nuova Alleanza non più fondata sulla legge, ma sulla passione. Indica il passaggio dalla fede del dovere alla fede del desiderio.

In questa grandissima festa, non ancora pienamente conosciuta e vissuta, vorrei cogliere tre particolari.

Il primo: lo Spirito nel simbolo del fuoco va a poggiarsi su tutti i discepoli; il secondo: lo Spirito spinge i discepoli fuori dal cenacolo verso il mondo; il terzo: lo Spirito spinge i credenti e la Chiesa alla ricerca della verità!

  • “Apparvero loro lingue come di fuoco e si posero su ciascuno di loro” (At. 2,3).

Dopo la morte di Gesù la comunità degli apostoli e dei discepoli si era rifugiata in un luogo, in una stanza, forse il Cenacolo, a pregare. Erano centoventi persone. E venne all’improvviso un fragore, e apparvero lingue come di fuoco che si posarono su ciascuno di loro. Ogni discepolo è bagnato dallo Spirito, con cui interpretare la Parola di Dio, non solo gli apostoli. Tutti i discepoli di Gesù ricevono lo Spirito e quindi tutti sono responsabili nella Chiesa e della Chiesa. Ciascuno ha ospitato, “una lingua di Spirito” con cui decifrare la Parola di Dio, non solo gli apostoli. Se Crediamo alla Chiesa nata dallo Spirito dovremmo dire che il centro, o il soggetto, nella Chiesa non è il presbitero, né il Vescovo e neppure il Papa. Il soggetto è la comunità guidata, o meglio animata, dal carisma dei pastori, ma è tutta la comunità corresponsabile nell’interpretare la Parola di Dio e nell’annunciare il Vangelo della gioia.

Va sicuramente superata la concezione secondo la quale il responsabilesia il Vescovo o il Papa, perché siamo tutti ugualmente corresponsabili, perché investiti dallo Spirito. E tutti siamo chiamati a dare il nostro apporto nell’interpretare la Parola di Dio perché essa è consegnata a tutti e tutti devono dare una loro originale lettura. Diceva il teologo padovano Luigi Sartori: “Il carisma del presbitero, del Vescovo, del Papa è un carisma vuoto, perché dovrebbe riempirsi dei carismi presenti nella comunità”. È la comunità soggetto. Dovrebbe essere cambiato il codice di diritto canonico che riconosce ancora ai pastori il potere decisionale. È un traguardo verso cui guardare!

  • Lo Spirito spinge fuori i discepoli dal Cenacolo.

Gesù dirà: “Come il Padre ha mandato meanch’io mando voi”. Gesù ci manda nel mondo. Ci incita a uscire dal tempio, da un luogo rassicurante per immergerci dentro le pieghe dei problemi e delle speranze della gente.

Gesù non ci invita a salire ma a scendere. Anche Pietro voleva rimanere sul monte, nella tranquillitàfuori dal turbine di pensieri, di problemi, ma Gesù lo invita a scendere.

Il verbo “scendere” tratteggia l’atteggiamento dell’entrare dentro, dell’immergersi, dell’assumere, del condividere, dell’amare la realtà, il mondo.

Quasi verrebbe da pensare che Dio sia appassionato della realtà umana e del mondo, più dell’uomo stesso. L’uomo sente vigorosamente la tendenza a “salire” più che a “scendere”.

Forse, come cristiani, dovremmo maggiormente riscoprire, nella lettura della Parola, lo spessore e l’importanza dello “scendere”.

Scendere non solo per dare, ma anche per imparare. L’uomo dovrebbe annusare che i fatti, gli avvenimenti, le cose, possiedono stimoli, provocazioni, verità che vanno ascoltate.

Occorre ridare primato al flusso della verità che cammina nella storia, nei fatti. Il pensare, il riflettere (salire) è importante, anzi necessario, ma viene dopo. Il pensiero è a servizio della vitalità che irrompe nella storia; non ne è il “padrone”. Non si può piegare la realtà alle idee, ma sono le idee che devono lasciarsi interrogare e allargare dalla vita e dalla realtà.

Per noi credenti, abituati ad avere idee fisse, principi sicuri, questo è un capovolgimento che potrebbe produrre vertigini, in quanto sembra che vengano a mancare i punti di riferimento. E difatti l’io allenato a dominare, si trova in questo modo in balia degli avvenimenti. È lo stesso spaesamento affrontato anche da Abramo che ha dovuto lasciare le sue tradizioni, i suoi principi religiosi e sociali (la sua “terra”) per inoltrarsi verso altri principi, altre prospettive (verso un’altra “terra”) sempre da scoprire e da accogliere.

  • “Quando verrà lo Spirito vi guiderà alla verità tutta intera”.

Gesù non ha la pretesa di sapere e dire tutto, come troppe volte noi preti; ha l’umiltà di dire: la verità è davanti, la verità è un percorso, è un divenire. Egli mi trasmette gioia di sentire che appartengo a un progetto aperto, non a un sistema chiuso, già definito. Perché in Dio si scoprono nuovi mari quanto più si naviga, sotto il soffio e la guida dello Spirito.

Due piccoli impegni

  • La Chiesa è di tutti perché su tutti è sceso lo Spirito.
  • Scendere nel mondo anche per imparare.