Commento al vangelo di don Battista Borsato

Commento al vangelo di don Battista Borsato

I domenica del T.O. 

Battesimo del Signore

Gesù sceglie di  stare con gli uomini

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?”. Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia”. Allora egli lo lasciò fare. Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”.

(Mt 3,13-17)

Con il Battesimo di Gesù finisce il tempo di Natale. Ora il Vangelo non racconta più come Gesù è nato, ma perché è nato. Qual è la sua missione? Il suo compito? Per capirlo occorre seguire il racconto e il senso del suo battesimo. Sarà l’opportunità per riscoprire anche il nostro.

Questa mia riflessione vorrei condurla attorno a tre domande:

Perché Gesù decide di farsi battezzare? Perché il Padre lo chiama Figlio? E noi quando possiamo dirci battezzati?

  • “Perché Gesù decide di farsi battezzare”. Nel Vangelo c’è un silenzio sulla adolescenza e la giovinezza di Gesù. Dall’episodio di Gesù dodicenne al tempio fino al battesimo avvenuto a circa trent’anni, nei Vangeli non si parla più di Gesù. Da tutto il contesto si può arguire che abbia avuto contatti stabili con Giovanni Battista. Egli era una figura affascinante e un maestro di vita. Dalla sua voce e dalla sua testimonianza Gesù si sarà formato, anche se poi prenderà strade diverse.

La formazione di Gesù e il suo risveglio messianico partono, quindi, dalla relazione con il Battista. Anche Gesù, come uomo, viene sollecitato, illuminato da voci esterne. Nessuno si fa da solo. Gli altri sono determinanti nella nostra vita. Questo lo fu anche per Gesù. Il battesimo è per Lui il momento decisivo, è l’inizio della sua orientazione vocazionale.

Perché è il momento decisivo? Per rispondere a questo interrogativo occorre rifarsi al suo contesto esistenziale. Gesù, avrà avuto circa 30 anni. Era già adulto. Gli era data la possibilità di inserirsi nella vita pubblica e di potervi dare il suo apporto di presenza e di idee. A questa età Gesù si conosceva. Aveva scoperto in lui dei doni e delle sorprendenti qualità. Sapeva parlare e la sua parola attirava folle e le coinvolgeva, poteva diventare un apprezzato animatore sociale e politico. Sapeva difendersi e difendere con acutezza di argomenti e poteva sognare un futuro da avvocato. Soprattutto sapeva guarire da “infermità di vario genere” e se sceglieva di fare lo psicologo o il medico poteva avere gloria e soprattutto denaro. Aveva doti e qualità così singolari da prospettarsi una vita economicamente soddisfatta e socialmente famosa. Poteva essere un uomo di brillante carriera. Gesù invece sceglie, decide di porre le sue capacità al servizio degli uomini, della giustizia. Non cerca la sua affermazione, cerca di sollevare gli uomini e le donne dalle oppressioni, dalle emarginazioni e di risvegliare le coscienze, perché possano operare per il bene comune e affrancarsi da sudditanze sia religiose che politiche. Risuona in questa sua scelta la profezia di Isaia: “Non si abbatterà finché non avrà stabilito il diritto sulla terra” (42, 4).

Mettendosi in fila con i peccatori, Gesù si fa solidale con gli uomini, solidale nella parte più profonda di loro stessi che è il loro essere peccatori; entra fino in fondo per assumere questa realtà e liberarla. Nel battesimo Gesù esprime una scelta di vita: farsi compagno di viaggio degli uomini per liberarli. Il suo battesimo è un impegno di vita, è una vita data. Gesù chiamerà il vero battesimo la sua morte in croce, quando tutto avrà speso: tempo, energie, vita, per la verità e la giustizia. Qui è veramente battezzato, qui è veramente dato.

  • Come sarà avvenuta questa scelta di deporre il suo io, per mettere al centro l’altro, di rinunciare alla sua affermazione per far emergere il bene delle persone, della comunità?”. Nel Vangelo non è descritto il suo travaglio interiore, ma che deve pur esserci stato. Forse non riusciamo ancora sufficientemente a considerare Gesù come uomo. Lo pensiamo solo come Dio, e certamente era Dio, ma Gesù era anche pienamente uomo e come uomo aveva le aspirazioni proprie dell’uomo: affermarsi, primeggiare, avere una vita tranquilla, essere apprezzato dagli altri. Come uomo non era esente da questi sentimenti e da questi naturali impulsi. Il rinunciare ad una vita tranquilla e di successo per assumere le sofferenze e le speranze degli uomini, dovrà essere stata una scelta faticosa anche per Gesù. Pure lui era attratto dalle comodità della vita, dal piacere di essere riconosciuto e stimato. Scegliere una vita di immersione nei problemi degli uomini e lottare perché vengano riconosciuti i loro diritti, la loro dignità, significava abbracciare la strada del dissenso e dell’incomprensione da parte di molti e soprattutto di ostilità da parte di coloro che detenevano il potere religioso, politico: potere che non accetta rovesciamenti di vita e di idee.

Sicuramente agiva in lui lo Spirito che rinnova e ricrea, ma questo Spirito lo spingeva e lo sollecitava attraverso la persona di Giovanni Battista e di molte persone che facendosi battezzare esprimevano il desiderio di vivere una vita diversa. Anche Gesù come uomo, quindi, è stato spronato e la sua grandezza sta nell’essersi lasciato stimolare. Certamente la sua scelta così decisa non è stata dettata tanto dalla rinuncia al proprio io, ma dalla passione per l’uomo, soprattutto per l’uomo oppresso e in difficoltà. Egli per amore si è addossato la fragilità e la vulnerabilità dell’uomo. Il suo battesimo è una scelta di amore: prima dell’io c’è l’altro, prima della sua affermazione c’è la promozione degli altri.

  • “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento”. Il Padre approva la scelta di Gesù e lo chiama “Figlio”. È un termine che indica affetto, è una parola carica di pathos, vertice del desiderio e dell’emozione sulla terra. Figlio è colui che agisce come agisce il padre, colui che prolunga con la sua vita, la vita del padre.

E il Padre lo chiama “mio compiacimento”. Un termine inusuale, eppure bellissimo che nella sua radice significa: tu figlio mi piaci. C’è dentro una gioia, una esultanza, una soddisfazione. Dio trova gioia nello stare con lui che compie queste scelte e quasi dice: tu sei la mia gioia.

Questa affermazione che avviene a “cieli aperti”, cioè nel dialogo tra Dio e l’umanità, è rivolta a tutte le persone, che come Gesù scelgono di mettersi in fila con gli uomini e con gli uomini peccatori. Il nostro battesimo non può essere ridotto a un rito, a un gesto isolato: dovrebbe esprimere una scelta di vita, un modo di vivere. Se viviamo nell’attenzione ai bisogni degli uomini, se ci impegniamo a trovare le vie più giuste perché si realizzi la giustizia, perché inizi la liberazione, allora siamo battezzati. Se stiamo soli e pensiamo a noi stessi, se non ci confrontiamo con la realtà, se non ci lasciamo provocare, non diciamoci battezzati. Il vero battesimo è quello della vita, una vita che si pone al servizio: “Essere battezzati vuol dire essere uomini dedicati agli altri uomini” (Ernesto Balducci).

Pure Gesù ha provato il doloroso travaglio di staccarsi dalle sue naturali esigenze.

Il nostro battesimo dovrebbe esprimere una scelta di vita.